venerdì 28 luglio 2023

 

Caldo record nel Mediterraneo: cosa comporta per il clima in Europa?

 

Da "Euronews" - 27/07/2023
 

Il clima estremo in Europa potrebbe protrarsi fino all'autunno, spinto anche dalle temperature da record della superficie del mare

Lunedì la temperatura della superficie del Mediterraneo ha raggiunto il livello più alto mai registrato, raggiungendo i 28,71°C. Battendo così il precedente record di 28,25°C, stabilito nel 2003. I dati sono stati confermati martedì 25 luglio dal Servizio di monitoraggio delle ondate di caldo del Mediterraneo.

L'aumento delle temperature dell'acqua mette a rischio la vita marina, proprio come nelle ondate di caldo avvenute tra il 2015 e il 2019, quando 50 specie, tra cui molluschi e coralli, hanno subito un impatto significativo. L'impatto del riscaldamento degli oceani si farà sentire inoltre anche nei mesi autunnali e invernali, quando il Mediterraneo rilascerà il calore che attualmente sta accumulando, potenzialmente innescando precipitazioni particolarmente forti, se non**tempeste**.

 E le conseguenze non si limiteranno all'Europa meridionale: il calore proveniente dal mare potrà scatenare eventi estremi in tutto il continente, poiché il Mediterraneo funge da fonte di calore e umidità per gran parte dell'Europa.

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mercoledì 26 luglio 2023

 

"Deep-sea mining"

 

 
(...) Ciononostante il rischio che la transizione ecologica possa sposare la strada della fallimentare crescita economica, declinata sotto l’egida della cosiddetta green economy, è più vivo che mai. Sono diverse le aziende e gli stati alla costante ricerca di un modo per trovare «soluzioni vincenti» – per il capitale, verrebbe da dire – alla crisi climatica. L’ultima frontiera, sia sul piano ecologico che dell’accumulazione primaria, potrebbero essere gli oceani, una porzione rilevante del nostro pianeta in cui a oggi non vigono regole definite sul piano dello sfruttamento delle risorse minerarie.
(...)

Il Far West degli abissi oceanici

Questa assenza di regole, dinanzi alla quale potrebbero emergere scenari di libera estrazione, ridefinirebbe il nostro rapporto con gli oceani, aprendoli a una nuova corsa all’oro al cui centro ci sarebbero una serie di metalli, considerati strategici ai fini della transizione ecologica. Così all’interno di un’economia in costante e febbrile espansione anche i mari verrebbero toccati dalla Grande Accelerazione, diventando – proprio sulla base del particolare status giuridico del mare internazionale – una vera e propria terra di conquista di stati e multinazionali. 

In questo modo la strategicità degli oceani è emersa non sulla base della loro straordinarietà dal punto di vista della biodiversità o della capacità di immagazzinamento dei gas climalteranti, ma in virtù della presenza di noduli polimetallici. Noduli presenti soprattutto in alcune aree dell’Oceano Pacifico, dove vi è una maggiore presenza di stati insulari, e che risultano essere ricchi di manganese, nichel, cobalto, rame e terre rare. 

Ancora una volta, il rapporto del nostro sistema economico con l’habitat che ci ospita è scandito dal paradigma estrattivista, per cui per riuscire a riconoscere il valore di qualcosa l’unica strategia è l’estrazione e la messa a valore. Si ripropone l’oggettivazione della natura a cui ci ha abituato la modernità: un’irrazionale attribuzione di un valore economico a un ecosistema – come premessa per la sua messa a profitto – che però, per il ruolo che riveste, non può avere alcun valore misurabile.

A chiudere il cerchio della narrativa sul deep sea mining ci sono le dichiarazioni delle aziende e degli stati che vorrebbero promuovere questa modalità di estrazione e che sostengono come questa formula si possa considerare meno impattante sia sul piano sociale che sul piano ecologico. Il tutto evidentemente solo se applichiamo una prospettiva per cui ciò che è lontano da noi, come specie, pur impattando altri tipi di ambienti – in questo caso quello marino – non ci tange.

 
 

mercoledì 12 luglio 2023

 Cibo, biodiversità e pesca in mare le strade opposte di politica e scienza

Da "La Stampa" - 12/07/23

Cosa si vota al Parlamento europeo? La legge sulla tutela della biodiversità. Cosa si decide al Parlamento europeo? La nostra idea di mondo e di futuro. Se preferiamo il breve periodo al lungo, la nostra generazione alle successive. Può sembrare una stima esagerata per una legge europea, certo, perché non è la burocrazia che decide le sorti del mondo. Ma è anche vero che le leggi impostano nuove visioni e viceversa: una nuova legge esprime lo spirito del tempo di una comunità e ne conserva l'eredità. È il caso della Nature restoration law, che fa parte del pacchetto di misure green che la Commissione europea ha proposto come spina dorsale per la ripartenza post-pandemica.
Cosa prevede la legge Andiamo con ordine: la "legge per il ripristino della natura" imporrebbe agli Stati membri di difendere almeno il 20% dei territori e dei mari europei, il 15% dei fiumi e la realizzazione di progetti ad alta biodiversità in almeno il 10% delle aree agricole. Secondo la Commissione sono soglie fondamentali per restituire alla natura il giusto spazio per rafforzarsi e diventare più resiliente e capace di assorbire gas serra. La "rinaturalizzazione" è una delle strategie migliori per far fronte all'aumento dei disastri naturali. Significa lasciare più spazio alla vegetazione, ai boschi, alle zone umide, alle torbiere, così come alle riserve fluviali e ai fondali marini. Ma significa anche non intervenire negli habitat, investire per proteggere la flora e la fauna selvatica e garantire che la biodiversità ritorni a livelli adeguati. Dobbiamo proteggere le api, i pesci, le rane, le rondini e persino gli orsi.
Seimila scienziati da tutto il continente hanno firmato una lettera aperta che chiede ai parlamentari europei di votare in favore della legge, offrendo un chiaro fact-cheking contro chi la critica. Una natura in salute significa un futuro in salute.

(...) Ma l'opposizione alla legge fa parte di un braccio di ferro politico a livello europeo. Negli scorsi mesi sono stati presentati diversi emendamenti da parte del Partito popolare europeo (Ppe), che ha sfruttato la legge per minare dall'interno la maggioranza "Ursula" (tra Ppe e l'alleanza dei Socialisti e Democratici) e prepararsi così il terreno delle nuove alleanze in vista delle elezioni europee 2024. Il Consiglio affari energia l'aveva approvata a fatica meno di un mese fa, ma ben sette Paesi hanno votato contro. Tra loro anche l'Italia, che si è opposta apertamente alla Restoration Law. Il ministero dell'Ambiente ha motivato la scelta sostenendo che la legge è «inapplicabile e insostenibile per le categorie interessate, agricoltura e pesca». Anne Sander, europarlamentare francese nelle file del Ppe, ieri ha cavalcato l'onda del dissenso: «È stata pensata male, è ideologica e lontanissima dalla realtà».
 

Scelta per il futuro



 


I dati però dicono il contrario: per l'Agenzia ambientale europea, ben l'81% dei territori naturali versano in pessime condizioni. In alcune zone d'Italia la situazione è ancora peggiore, come mostrano le analisi del Wwf: nell'ecoregione padana il 100% degli ecosistemi sono a rischio. Ed è proprio questo il principale rischio per la sicurezza alimentare europea: la perdita di biodiversità, in particolare di insetti impollinatori, unita alla cementificazione, all'uso massiccio di composti chimici e pesticidi. A cui si aggiunge l'effetto moltiplicatore del cambiamento climatico. Ripristinare gli ecosistemi rende i territori più pronti a reagire di fronte alle frustate dell'emergenza climatica, ovvero l'alternanza estrema tra siccità e piogge intense. Non significa tornare all'Età della pietra, ma abbiamo visto come una gestione iper-tecnica della terra (e iper-chimica) non sia una soluzione efficace a lungo termine. La natura non può essere soggetta a monopolio umano.
Ed è proprio questo concetto che la Restoration Law vuole portare nel dibattito dei cittadini europei: siamo in grado di superare la miopia del breve periodo per proiettare la nostra comunità (e la nostra specie) nel futuro? Una legge non basta, certo ma è l'inizio di un percorso, di un fondamentale cambio di paradigma. Non ha più senso ragionare per mandati politici, piegando le esigenze del Pianeta alle agende dei partiti e delle alleanze. Dovremmo diventare "buoni antenati" delle future generazioni, come scrive il filosofo australiano Roman Krznaric e come ripete il commissario Ue per il clima Frans Timmermans. Salvare la biodiversità da noi stessi, per garantire un futuro, una casa, del cibo a chi arriverà dopo.