Una riflessione su questi nostri tempi
I grandi uomini che non fanno
la storia
Mike
Davis
L’egemonia
richiede un grande disegno? In un mondo in cui oligarchi dorati, sceicchi
miliardari e divinità del silicio governano il futuro umano, non dovremmo
sorprenderci nello scoprire che l’avidità genera menti rettiliane. L’aspetto
che mi sembra più rilevante di questi strani giorni, in cui le bombe
termobariche squagliano i centri commerciali e attorno ai reattori nucleari
infuriano gli incendi, è l’incapacità dei nostri attuali superuomini di
esercitare il loro potere verso la produzione di una qualsiasi narrazione
plausibile del prossimo futuro.
Putin si
circonda di astrologi, misticismo e perversione come facevano i Romanov
nell’ultima fase del loro potere. A detta di tutti è sinceramente convinto di
dover salvare gli ucraini dall’Ucraina, perché il destino celeste della Rus’
possa compiersi. Il presente deve essere distrutto per trasformare in futuro un
passato immaginario.
Putin non è
l’archetipo di uomo forte o il mastro ingannatore ammirato da Trump, Orbán e
Bolsonaro: è semplicemente un uomo spietato, impetuoso e incline al panico.
(…)Sull’altra
sponda dell’oceano, Biden è immerso in una seduta spiritica non-stop con Dean
Acheson [il ministro degli esteri Usa durante la Seconda guerra mondiale,
interventista ndt] e tutti gli altri fantasmi delle guerre fredde. La
Casa Bianca è sperduta in un deserto che ha contribuito a creare. (…) Non
riescono a immaginare nessun altro quadro intellettuale per il declino del
potere americano se non la competizione nucleare con la Russia e la Cina.
(…) Nemmeno
l’Unione europea ha saputo essere all’altezza dei problemi che caratterizzano
questa epoca e porre le basi di una nuova geopolitica. A rischiare più di tutti
lo spaesamento è la Germania, che ha fondato il suo orizzonte politico degli
ultimi decenni sul commercio con la Cina e l’importazione di gas naturale della
Russia. (…) In tutto questo, una Nato allargata e trincerata dietro un nuovo
muro orientale è una cura peggiore della malattia.
Penso che
quello che va fatto è diagnosticare un tumore cerebrale della classe dirigente:
la crescente incapacità di raggiungere una qualsiasi comprensione coerente del
cambiamento globale come base per definire interessi comuni e formulare
strategie su larga scala.
In parte è
la vittoria del presentismo patologico, ovvero l’istanza per cui tutti i
calcoli vengono fatti sulla base di ragionamenti a breve termine che consentano
ai super-ricchi di consumare tutte le cose buone della Terra nel corso della
loro vita (…) E se tutto andasse male,
Elon Musk guiderà i miliardari verso la migrazione su un altro pianeta.
Può darsi
che i nostri governanti siano ciechi perché non hanno la vista penetrante della
rivoluzione, borghese o proletaria che sia. Un’epoca rivoluzionaria può
vestirsi con i costumi del passato (come spiega Marx nel Diciotto brumaio),
ma si definisce sulla base del riconoscimento delle possibilità di
riorganizzazione della società derivanti dalle nuove forze tecnologiche ed
economiche. In assenza di una coscienza rivoluzionaria esterna, o di una
minaccia di insurrezione, il vecchio ordine non avrà mai bisogno di produrre i
suoi (contro)visionari.
(…) Insomma,
stiamo vivendo nella versione horror della teoria che «i grandi uomini fanno la
storia». A differenza dell’alta Guerra fredda, quando politburo, parlamenti,
uffici di gabinetto e stati maggiori lavoravano tutti, in qualche misura, per
contrastare la megalomania dei vertici, oggi le valvole di sicurezza che separano
i massimi leader mondiali dal bottone dell’Armageddon sono pochissime. Non era
mai successo che tanto potere economico, mediatico e militare si concentrasse
tutto insieme in così poche mani…